Però stai scrivendo.
Sì, pare proprio che io stia scrivendo.
Perché in fondo la scrittura è terapeutica.
Ho scritto per mestiere. Ho scritto per amore. Ho scritto un po’ per non morire. E ho scritto per diventare ricco e famoso. Famoso, non lo sono diventato. Ricco, ancora meno. Ora scrivo solo per curarmi. Per leccarmi le ferite. Per sublimare un malessere affilato, anche se stranamente dolce e mansueto. Per soffocare, in fondo, ogni desiderata epifania.
O per fissare con mollette da bucato i ricordi, che altrimenti volano via.
Ho cercato di recuperare dal pozzo secchiate di volti, rosari di storie sacre e profane, racconti infiniti di struggenti seduzioni. E di seduzioni meno seducenti. Ma comunque vitali.
Ne ho recuperate tante, di storie. E più ricordavo la giovinezza così intensamente vissuta, più si faceva impietoso il solco con il presente. Il solco invalicabile fra ciò che è stato e ciò che è. E che è meglio non sia.
Perché non c’è nulla di più patetico di un vecchio patetico. Di un vecchio che vuol fare il giovane.
Anche la vecchiaia ha la sua dolcezza.
Vecchio è bello se ti convinci d’esser vecchio. E schivi come un surfista scaltro ogni parvenza di antico desiderio. Perché vecchio è bello solo se hai un grande futuro alle tue spalle. Se il tuo mantra è sedere nel tramonto per sorseggiare adagio un vermentino fresco. E ripassare adagio adagio il solenne rosario di ricordi. Potresti anche accarezzare un gatto, e sorridere alla ragazza bionda che passa in bicicletta. Seduto un po’ in disparte a guardare divertito l’acquerellato spettacolo della vita. Del flusso della vita che passa un po’ più in là dalla tua panchina adagiata contro il sole.
Vecchio è bello. Se hai racconti da raccontare.