prof fighetto

Subito dopo le elezioni un candidato sconfitto mi ha attaccato sulla rete apostrofandomi in vario modo.

Non gli dato soddisfazione. Nemmeno quando mi ha definito "prof fighetto".

Ora, che il tempo è passato, e che gli animi si sono camomillati un poco, mi piace tornare sull'evento. Non per ingaggiare a distanza un duello, non per difendermi offendendo, ma per dire che quell'offesa a me m'aggrada assai.

Sono contento d'essere prof.

Sono contento di sembrare fighetto.

Perché io vengo dal fango e dalla merda. Dal puzzo dell'incenso e dal profumo del letame. Dalle botte sconsacrate nei pomeriggi afosi, dal sudore da balera e dalle bestemmie d'osteria.

A casa mia si pisciava nel pollaio.

E si cagava in un gabbiotto appeso sopra il letamaio.

Non c'era bagno, né riscaldamento. Non c'erano libri, né giornali.

E d'estate, dalla nonna, ci si alzava al buio per andare nella stalla a fare il letto alle vacche, e a mungere e a spalare.

Ma non ricordo d'essere stato tanto male. La nostra era una povertà dignitosa. Condivisa. Diffusa in quel villaggio sperduto nell'afa e nella nebbia. Ci si sentiva più o meno tutti uguali. C'era chi menava un po' più forte e chi pisciava più lontano, chi faceva la scoreggia più potente e chi truccava i motorini. Poi si giocava tutti insieme nel campetto dietro la parrocchia, prima di goderci le prime birre e le prime sigarette.

A scuola ero un ribelle involontario. Alla materna passavo eterni pomeriggi in castigo, con le ginocchia nude sui sassolini a punta. Alle elementari, fui sospeso varie volte ed additato al pubblico ludibrio da vari direttori. Ma ero sveglio. E mi piaceva primeggiare. E leggere. E sognare.

Alle medie fui confinato in una classe di dementi senza storia. Ma un vecchio prof. un po' deforme mi regalò libri di vento e mi iscrisse ad una gara di scrittura. Vinsi una borsa di studio per liceo che mi permise di studiare.

Per avere due soldi in tasca, vendevo qualche tema e un po’ di più. E d'estate andavo a lavorare.

Ho fatto l'operaio nelle gasate fabbriche di compensato. Dove ci si annulla per nove o dici ore. Tutti i giorni.

Ma per fortuna c’era la sera anche per me. E gli amici del bar sport, e il calcio mercenario dei tornei notturni, e le scorribande acerbe nei locali adulti. E qualche birra. E le ragazze.

Per dirti come ho fatto il Liceo, dovrei scrivere un poema: inferno e paradiso, cieli infiniti e oscuri scantinati, preti corrotti e preti visionari, voti brillanti e cazziatoni immani. E amici, sospensioni, occupazioni, scontri, interrogatori, processi, sbornie, fughe. Versi dannati fra chiese ed osterie. E le ragazze.

Mantenermi all'università fu un po' più complicato. Mio padre, che da invalido aveva trovato un lavoro da operaio, riusciva a spedirmi qualche cosa (e mi dispiace che se ne sia andato senza che io abbia avuto il coraggio per ringraziarlo del suo coraggio). Ma per sopravvivere nel grassume di Bologna dovevo arrangiarmi ancora e ancora. Metà dell'anno studiavo, metà dell’anno lavoravo. Ho fatto ancora l’operaio, e il bracciante, e il trattorista, e il camionista… e il cameriere, e il mobiliere, e il venditore di pentole e varia mercanzia. E per rubare un po’ di tempo al tempo non dormivo. Per stare un po’ coi libri, e la Olivetti di seconda mano, e tante paglie, e qualche bourbon. E le ragazze.

Mi sono laureato in corso. Con 110 e lode. E dignità di stampa. E mille illusioni di fare l’intellettuale. Ma i soldi erano a zero. E continuavo a faticare nella bassa. Dove l’aria è una conquista. Dove il sudore è sudore. Dove mangiare la polvere non è un modo di dire. Dove pieghi la schiena per davvero. Dove annaspi nel fango e nella nebbia. Dove bruci trafitto dalla lamiera del trattore. Dove sogni, e bestemmi, e quasi preghi. Ma senza rinunciare ad una reliquia di bellezza.  A un frammento di poesia. A qualche libro. A una partita di calcetto. A scorribande con amici fusi. A un buon bicchiere. E alle ragazze.

Non sono nato prof. Ma lo sono diventato.

Non sono nato fighetto. Ma ho sognato di diventarlo, un giorno.

Ed ora, ora sono orgoglioso di essere prof. Ed anche un po' fighetto.

Perché non scordo il mo passato da barbaro pezzente.

So apprezzare un Chateau Lafite e riconoscere un notturno di Chopin. So recitare acrostici indolenti e annodare l’ascot di pura seta. So ergermi a tribuno e sussurrare alle contesse. Scrivo poesie.

Ma in fondo ho una cultura da balera e da bar sport. E me ne vanto.