Educare alla caduta

Io non so se esistono educatori perfetti: stando ai rimproveri di qualche collega, forse sì: forse esiste il docente (il genitore, l’amministratore) che non fuma, non beve, non impreca, non desidera la donna d’altri, divide l’etichetta di carta dalla bustina del tè per la differenziata, non prende psicofarmaci, non si incazza, crede nell’omeopatia, non molla un calcio in culo ai figli, spegne la luce dell’ufficio quando esce, ha tutte le fatture del dentista e tutte le ricevute del parrucchiere.

 

Io non sono perfetto. Né come umano, né come educatore.

E noi che non siamo perfetti, ogni tanto sbagliamo. Ogni tanto rischiamo. Ogni tanto cadiamo. E magari ci facciamo male. Molto male.

 

 

Ma forse è per questo che noi educatori imperfetti riusciamo talvolta a comprendere le adolescenziali imperfezioni.

Se un ragazzo non cade mai, non ha bisogno dell’educatore. E se cade, non ha bisogno di un educatore perfetto che gli ripete fino alla noia che non doveva cadere dopo avergli ripetuto fino alla noia che doveva stare in piedi. Magari camminando con gli anfibi sul filo teso sopra la nostra follia sociale. Se un ragazzo cade, noi dobbiamo aiutarlo a rialzarsi.

Bisogna educare alla caduta.

Per educare alla risalita. Fino a trovare un equilibrio il meno instabile possibile.

Certo la catena che mi ha coinvolto è stupida. E si presta alle facili rimostranze della gente sensata, e non solo dei moralisti. Nessuno mi ha costretto. Ero di fronte ad una scelta. Potevo fare una bravata da macho e scolarmi una pinta di rum e poi buttarmi in una piscina ghiacciata. Potevo semplicemente NON partecipare. Oppure potevo tentare di dimostrare che si può partecipare con ironia ed un pizzico di saggezza.

Di primo acchito avevo scelto la busta numero due. Poi, dopo varie elucubrazioni, ho scelto consapevolmente la terza via. Quella più difficile, per un educatore. Cercare di comprendere e mescolarsi con la vita, senza perdere la propria autorevolezza.

Essere autoritari è facile (lo dico da ex ufficiale dell’esercito!). Essere autorevoli è più complesso.

Certo potevo anche partecipare bevendo – con ironia – un succo di frutta. O un chinotto. O un tè al bergamotto. Ma sarei stato poco credibile agli occhi di chi mi conosce. E che sa che amo bere (senza ubriacarmi), che adoro pizzocheri e tortelli (senza esagerare), che mi piace guardare le belle donne (ma che non tradirei mai moglie), che spesso mi indigno (senza alzare le mani)…

 

Ma siamo sempre lì: per essere educatori bisogna essere autorevoli. Per essere autorevoli bisogna essere credibili. Per essere credibili bisogna fare i conti con i propri limiti. Ripensare alle proprie cadute per poter comprendere – prima di stigmatizzare – le cadute altrui. Io ci ho provato. Io ci provo. Consapevole che non è possibile costruire una scuola (di vita) senza rischi. Perché senza rischi non c’è crescita.

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